mercoledì 9 novembre 2016

I CIBI CHE UCCIDONO IL PIANETA ( Seconda parte )

Su tutti gli alimenti dell'agricoltura c'è poi il problema dell'inquinamento chimico, gli esseri umani hanno praticato l'agricoltura per più di 10.000 anni, ma solo negli ultimi 50 anni i coltivatori hanno sviluppato una pesante dipendenza dai fertilizzanti chimici sintetici e dai pesticidi. I raccolti in realtà assorbono solo da un terzo alla metà dell'azoto applicato al terreno come fertilizzante: le sostanze chimiche rimaste inutilizzate inquinano il suolo e l'acqua.
C'è da dire però che secondo le statistiche della FAO, metà dei cereali e il 90% della soia prodotti nel mondo sono usati come mangimi per animali, e che queste sostanze chimiche sono per la maggior parte usate nelle monocolture per la produzione di mangimi animali, è chiaro che la maggior responsabilità per questo enorme uso di sostanze chimiche sta proprio nella pratica dell'allevamento del bestiame. Se la terra fosse usata per produrre cibo per il consumo umano diretto, in maniera sostenibile, usando la coltivazione a rotazione, sarebbe necessaria una quantità di sostanze chimiche di gran lunga inferiore.( Per approfondimenti www.nutritionecology.org ) .
Scegliere i prodotti dell'agricoltura locale è un favore che tutti dovremmo fare alla nostra terra meglio ancora se i prodotti provengono dall'agricoltura biologica. Se acquistiamo prodotti locali avremo la garanzia che:
  • i prodotti sono più freschi
  • si sostiene l'economia locale e le filiere italiane
  • si riducono le emissioni di CO2 limitando i trasporti
  • si privilegiano prodotti tipici e varietà nostrane
la Coldiretti inoltre ha stilato una lista denominata black list di alimenti di provenienza estera che secondo le analisi dell'EFSA 2015 sono stati considerati fuori norma per la presenza di contaminati e residui di sostanze chimiche :
  • Broccoli dalla Cina 92% di residui irregolari
  • Prezzemolo dal Vietnam 78% di residui irregolari
  • Basilico dall'India 60% di residui irregolari
  • Melagrane dall'Egitto 33 % di residui irregolari
  • Peperoncino dalla Thailandia 18 % di residui irregolari
  • Menta dal Marocco 15 % di residui irregolari
  • Meloni e cocomeri dalla Repubblica Dominicana 14% di residui irregolari
  • Fragole dall'Egitto 11% di residui irregolari
  • Piselli dal Kenya 10 % di residui irregolari
  • Arance dall'Egitto 5 % di residui irregolari



Senza considerare che una famiglia media può risparmiare fino a 1.000 chili di anidride carbonica l'anno.
Alcuni esempi : il trasporto via aereo di un chilo di mele cilene produce 18,3 kg di anidride carbonica e consuma 5,8 chili di petrolio; per un kg di kiwi dalla Nuova Zelanda vengono emessi 24,7 kg di anidride carbonica e consumati 7,9 chili di petrolio.
Altri esempi di cibo che si potrebbe sostituire con alimenti nazionali: l'anguria da Panama, la carne dal Brasile, l'aglio e il pomodoro dalla Cina, l'uva dal Sudafrica, i meloni da Guadalupe e il riso e il grano duro dagli Stati Uniti. Per alcuni di questi prodotti come abbiamo visto prima ci sono stati anche problemi di carattere sanitario: la Commissione europea è intervenuta per limitare le importazioni di carne brasiliana perché non soddisfa i requisiti sanitari dell'Ue, mentre sull'aglio cinese pesano tutte le perplessità provocate dalle emergenze che si sono verificate per gli alimenti provenienti dal Paese. E' sempre meglio comprare prodotti freschi, naturali, prodotti nel territorio, e che non devono percorrere grandi distanze con mezzi inquinanti prima di giungere sulle nostre tavole.

Non per tutti i prodotti alimentari vi è l'obbligo di dichiarare in etichetta la provenienza ma quelle aziende che producono 100 % Italiano ci tengono a farlo sapere al consumatore e quindi riportano con orgoglio in etichetta la dicitura 100% prodotto e lavorato in Italia.
Acquistare locale vuol dire privilegiare la filiera corta, cioè ridurre i passaggi tra i produttori e i consumatori, eliminando gli intermediari, con vantaggi di riduzione degli impatti ambientali, di sostegno agli agricoltori italiani e riduzione della spesa settimanale. La filiera italiana è il prodotto alimentare le cui materie prime derivano dall’agricoltura italiana e il cui processo di trasformazione avviene totalmente nel nostro Paese. È, infatti, evidente come più lungo sia il viaggio effettuato da un alimento, maggiori siano l’inquinamento, i consumi di energia e le emissioni di gas serra associate.
Ed infine la dimensione dello spreco alimentare ha numeri veramente alti:
  • 1/3 della produzione mondiale non raggiunge i nostri stomaci
  • 1 miliardo e 600 milioni di tonnellate di alimenti viene gettato
  • l’80% è ancora buono.

    Oltre alle ripercussioni etiche, un cibo che non nutre nessuno è anche dannoso: l’acqua necessaria per produrre il cibo che si spreca a livello mondiale è di 250 miliardi di litri, si sprecano 1,4 miliardi di ettari di suolo (si sfrutta inutilmente ossia il 30% della superficie agricola), si immettono nell’atmosfera 3,3 miliardi di tonnellate di CO2, (la terza fonte di emissione dopo la Cina e gli USA). In Italia, lo spreco di cibo ha numeri altrettanto impressionanti: vale complessivamente 8,1 miliardi di euro l'anno, ovvero 6,5 euro settimanali a famiglia e 630 grammi di cibo buttati ogni settimana.
E poi ci sono gli imballaggi degli alimenti : ciascun italiano produce oltre 528 kg di rifiuti l’anno, per un costo medio di gestione di 186 euro per famiglia. Circa il 40% dei rifiuti è costituito da imballaggi. La maggior parte degli alimenti che acquistiamo per poter arrivare sullo scaffale del supermercato e poi nelle nostre case ha bisogno di essere impacchettato o confezionato. Gli imballaggi però, una volta giunti nelle nostre case e conclusa la propria funzione di “protezione e trasporto”, si trasformano in rifiuti da smaltire. Il problema dei rifiuti si risolve anche limitando a monte la quantità di scarti che produciamo: come consumatori possiamo scegliere di acquistare merci con meno imballaggi, ricordando che questi rappresentano un costo a carico dell’ambiente in quanto richiedono risorse (energia, acqua, materie prime) per essere prodotti e hanno impatti sulle emissioni di gas serra, sulla biodiversità e salute umana. Inoltre gli imballaggi incidono notevolmente sul prezzo del prodotto finito. La soluzione sta nella scelta di prodotti sfusi e alla spina (in cui i consumatori si recano nei punti vendita muniti di un contenitore che poi riempiranno grazie al sistema dei dispenser) che puntano a ridurre rispettivamente i contenitori necessari o a permetterne il riutilizzo. Queste metodologie di vendita dovrebbero diventare pratica diffusa per la gran parte dei prodotti (frutta,verdura, detersivi, latte, pasta, acqua minerale e quant’altro) quanto prima. Per adesso quello che possiamo fare è acquistare il più possibile fresco magari iscrivendoci a dei gruppi di acquisto solidale.

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